Sunday, August 2, 2015

Giuseppe Arcimboldo nasce a Milano da una famiglia di pittori.......


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La fortuna di Giuseppe Arcimboldo , Arcimboldi o Arcimboldus (Milano, 1527-1593), pittore manierista, è legata ai numerosi ritratti impropri ricavati dall’accostamento di elementi naturali – frutti, animali, pesci – o prodotti dell’uomo, che, accostati, o visti ribaltati, denotano un volto umano.  Queste invenzioni, che si inseriscono nelle modalità alchemiche e un po’ stralunate del Manierismo – che recupera solo formalmente la maniera, cioè lo stile, dei grandi maestri rinascimentali, ma agisce poi con un’inquietudine che caratterizza il periodo della Riforma,  della Controriforma e dell’epoca successiva al Sacco di Roma (1527), -si sviluppano contemporaneamente alla diffusione delle wunderkammerrnn, le stanze delle meraviglie nelle quali, in castelli o palazzi, erano collocati, come un primo nucleo di museo, oggetti naturali, artificiali o mirabilia, cioè elementi stupefacenti.
L'autoritratto di Giuseppe Arcimboldi
L’autoritratto di Giuseppe Arcimboldi
“La cultura di Arcimboldo risente certo di questo clima – dice Maurizio Bernardelli Curuz – ma non ci troviamo di fronte, osservando i compositi ritratti, soltanto ad un gioco stupefacente. Egli infatti, sotto il profilo alchemico e neoplatonico, fornisce l’immagine spirituale del dio o del demone che sta dietro la materia. La sua pittura, così squillantemente materiale, canta l’immaterialità dei motori dell’universo che appaiono dietro la superficie del mondo. Tra neoplatonismo e animismo, il pittore induce a pensare che è necessario andare al di là delle apparenze della natura che, osservata da un certo punto di vista e nell’unita del suo complesso, rivela un senso superiore, garantito da quegli spiriti intermedi che portano all’Essere superiore”

Giuseppe Arcimboldo nasce a Milano  da una famiglia di pittori. Lavora con il padre nel cantiere della fabbrica del Duomo e viene rapidamente notato per le sue capacità tecnico-compositive. Egli è chiamato a Praga nel 1562 al servizio di Ferdinando I primo imperatore del Sacro Romano per il ritratto della famiglia imperiale.
E ‘dopo il suo arrivo al servizio di Ferdinando I,  un iniziato ai misteri dell’alchimia,  che Giuseppe Arcimboldo, evidentemente in sintonia con l’imperatore-maestro, produce la prima serie delle quattro stagioni, e prende a dipingere ritratti compositi a partire da semplici elementi naturali.

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“Con Arcimboldi – prosegue Maurizio Bernardelli Curuz – assistiamo a una fusione genetica tra la cultura lombarda, già fortemente incline all’osservazione della realtà, e la cultura alchemica. Egli porta la modalità lombarda di osservazione della materia – che da Foppa va in direzione di Moretto, Vincenzo Campi e ,nella seconda metà del Cinquecento sviluppa, con Nuvolone e Figino, il genere autonomo della natura morta – e la anima con visibili demoni. Qualche precedente di composizione di volti attraverso oggetti o elementi naturali, esisteva già, in Leonardo e Bosch, ad esempio, ma più a un livello di sperimentazione giocosa che come registro espressivo”.
Il lavoro di Arcmboldo suscita notevole interesse nell’ambito della corte. Dipinge un’altra serie di quattro stagioni nel 1572-1573, mentre ha già sperimentato altri volti compositi, con  i quattro elementi ( Fuoco e Acqua 1566, sono al Kunsthistorisches Museum di Vienna ) o personificazioni di mestieri  ( il bibliotecario , il giardiniere , cuoco …), “nei quali – aggiunge Curuz – prevale la dimensione giocosa dell’inganno ottico”.
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A parte qualche ritratto,  Arcimboldo, a corte, ha il compito principale di arricchire la Wunderkamer degli imperatori Massimiliano II e Rodolfo II . Dotato di un’intelligenza creativa geniale, diviene responsabile dell’organizzazione di feste principesche – lo stesso incarico che era stato assegnato a Leonardo ad Amboise –  ed è nominato consulente artistico per la formazione delle collezioni imperiali. Si distingue per l’invenzione di un metodo colorimetrico per la trascrizione musicale. Dal 1565, il suo nome compare nei conti imperiali. Ed è un lungo periodo, quello che trascorre a Praga.  Nel  1587 ottiene così dall’imperatore Rodolfo – che lo insignisce del titolo di Conte palatino – il  permesso di tornare in Italia per finire i suoi giorni, promettendo di continuare a dipingere, “Flora”, una delle sue ultime opere. Muore nella città d’origine l’ 11 luglio 1593, anno nel quale iniziava a sorgere – compiuta la formazione di milanese e realizzati disegni e i primi dipinti – il genio di Caravaggio.
PERCHE’ I PRECEDENTI DI ARCIMBOLDO PORTANO IN DIREZIONE DI LEONARDO DA VINCI
Francesco Urbini, Testa de cazi (da Casteldurante), 1536, piatto maiolica. Ashmolean Museum, Oxford
Francesco Urbini, Testa de cazi (da Casteldurante), 1536, piatto maiolica. diametro 23 centimetri Ashmolean Museum, Oxford


In anticipo su Arcimboldo, Francesco Urbini, realìzzò questo composito “tutto che diventa uno”, nel 1536, dipingendo un volto con la giustapposizione di un considerevole numero di peni, accolti su un piatto fondo di maiolica di Casteldurante. Si ritiene che questi giochi di composizione possano essere fatti risalire all’epoca di Leonardo, soprattutto come elementi giocosi.

Fu però Arcimboldo a nobilitare i ritratti compositi, assegnando ad essi un valore semantico non legato a un oggetto unico reiterato, come avviene in Urbini, ma ispirandosi all’idea dell’En to pan, l’uno in tutto e il tutto in uno, meditazione con toni spettacolari attorno al rapporto convergente della moltitudine, in direzione dell’Uno, con un discorso che, al di  là degli effetti notevoli, composti di frutta, pesci ecc, nascondeva meditazioni di tipo neoplatonico, ermetico e pitagorico. E si potrebbe, in effetti dubitare, che il piatto di Urbini sia successiva alle “invenzioni” di Arcimboldo, ma la data sul retro inchioderebbe l’anno di produzione al 1536, quando il futuro pittore milanese aveva soltanto dieci anni. E se Urbini avesse utilizzato un’idea o  addirittura un disegno di Leonardo? Gli indizi sono notevoli. Sappiamo che la maiolica dipinta, in quell’epoca, riscuoteva un grande successo e che i disegni di Raffaello vennero ampiamente utilizzati per “istoriare” la ceramica. Ciò che appare singolare, in quest’opera, è che la scritta sul cartiglio è vergata da destra a sinistra, come soleva Leonardo.
Essa non è speculare alle normali stesure leonardesche -non ha cioè le lettere ribaltate lungo l’asse, che caratterizzano i manoscritti del pittore-scienziato – eppure il gioco dell’inversione delle lettere ha qualche rinvio con il lavoro del grande maestro toscano. Forse Urbini preferì rendere più semplicemente leggibili le parole, mantenendo il verso delle lettere, conservando speculari – se egli come pare, assunse come idea un disegno di Leonardo –  solo la C e la Z di CAZI, e ciò per velare ulteriormente il sostantivo volgare. Eppure quelle lettere speculari, legate alle ipotesi già formulate sull’ipotesi iconografica sulla possibile provenienza leonardesca del disegno, portano in direzione del Da Vinci o del suo ambito. Leonardo amava le barzellette o storielle sporche e ne scrisse diverse a margine dei suoi trattati; come lavorò molto su espressioni caricate o caricature.
Ma torniamo al piatto. La lettura da destra a sinistra avrebbe consentito l’accesso del significato dell’intera frase misteriosa a un pubblico avveduto, dopo aver provato a leggerla e rileggerla. Sul retro del piatto Urbini comunque aggiunse la chiave per giungere alla soluzione del giocoso enigma, scrivendo: ” El breve dentro voi legerite Vieni i giudei se intender el vorite (Leggerete il biglietto come fanno i Giudei, se volete capirne il significato).
Quindi il lettore tornava dalla parte del ritratto composto di peni e leggeva finalmente la frase: “Ogni homo me guarda come fosse una testa de cazi“.  Il termine “testa di cazzo”, che noi italiani utilizziamo attualmente come offesa, aveva un’analoga valenza semantica tra i nostri antenati e per quanto la frase sia involuta forse suonava. “Ognuno mi guarda come fosse una testa di cazzo” o “chi mi guarda è una testa di cazzo”.Qualcosa di simile alla frase infantile “Scemo chi legge”.
Provate ora a leggere. Da destra a sinistra. Ogni parola finisce con un trattino.

Francesco Urbini, Testa de cazi (da Casteldurante), 1536, piatto maiolica. Ashmolean Museum, Oxford
Francesco Urbini, Testa de cazi (da Casteldurante), 1536, piatto maiolica. Ashmolean Museum, Oxford

A lungo si è dibattuto sull’autore di quest’opera siglata, sul verso, Fr. In un primo momento si era ritenuto che il lavoro fosse ascrivibile a Francesco Xanto Avelli da Rovigo (Rovigo, 1486 circa – Urbino, 1542 circa), ceramista, colto umanista, poeta alla corte di Francesco Maria I della Rovere, duca di Urbino. Francesco Xanto Avelli collaborò con Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio a cui affidava il lustro delle proprie ceramiche, cioè le operazioni finali di trattamento dell’opera.
La “Testa de Cazi” è invece attribuita a Francesco Urbini, appartenente ai seguaci del veneto. Urbini fu attivo a Gubbio e Deruta. Tra il 1531 e il 1536 risulta operante a Gubbio.

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